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Divani gialli e poltrone bordeaux | pt. 1

I capelli di Martin erano di un castano chiaro simile al miele, aveva gli occhi verdi ed era più alto della media degli uomini che conoscevo, nettamente più alto.

Quel giorno indossava una maglietta con un fumetto disegnato sopra, uno di quelli che recita una qualche battuta di pessimo gusto con riferimenti allusivi a rapporti sessuali animaleschi. Era seduto spalle curve e gomiti appoggiati sulle cosce, quando finiva di allenarsi spesso rimaneva in quella posizione, sorseggiando la bottiglietta d’acqua lasciata fuori dal frigorifero prima di raggiungere la baia. Avevamo provato qualche volta a correre insieme, però non riuscivo a tenere il suo ritmo, non sono mai stata una tipa sportiva.

L’abbronzatura non uniforme, acquisita durante quelle prime settimane di giugno, era ancora più evidente quando tirava su le maniche corte attorno alla spalla. Aveva le braccia ambrate fino al segno della manica, da quel punto in poi il suo corpo era rimasto di un bianco cartaceo che si riprendeva a scurirsi intorno all’attaccatura dei capelli.

Quella sera non avrei dovuto essere a casa, il furgone del trasloco era in ritardo.

Ti hanno scritto? Mi chiese. Io ero appoggiata al bracciolo della poltrona amaranto posta davanti al divano.

Quella sala era simile ad una giovane donna arricchita, piena di gingilli di nulla importanza. Il divano e la poltrona erano gli unici elementi, su quelle guance troppo truccate da quadri di dubbio gusto, capaci di rendergli giustizia. Erano stati portati su durante il novembre del 2016, erano stati abbandonati vicino ai cassonetti della spazzatura davanti al bangladino all’angolo.

Ho provato a chiamarli ma nulla, riprovo fra una decina di minuti.

Francesco quando rientrerà? Disse passandosi una mano fra i capelli per poi asciugarsi le goccioline d’acqua che erano fuoriuscite dal tracannamento disordinato.

Ha l’aereo domani mattina presto, andrò a prenderlo per l’ora di pranzo.

Bene.

Francesco era allora semplicemente il mio fidanzato, nonché futuro coinquilino. Quella sera mi sarei dovuta trasferire dall’altra parte della città, in un monolocale di 54 mq, abbandonando il divano giallo, la poltrona bordeaux e Martin.

Martin faceva prendere aria alle cosce sudate, spostando su e giù i pantaloncini comprati alla decathlon a sette euro. Qualche mese prima avevamo festeggiato il nostro quarto anno di convivenza, ci eravamo conosciuti all’università, frequentavamo alcuni corsi insieme, e avevamo stretto quel rapporto amicale sin dal primo incontro.

Sarà strano non ritrovarti a far colazione la mattina.

Sarà strano non dover lavare i piatti che lasci nel lavandino.

Dondolavo le ginocchia nervosamente, gli ero molto legata, la mia quotidianità e le mie esperienze inusuali gli erano in qualche modo vincolate. Quell’esatta scena l’avremmo vissuta sì e no un miliardo di volte, io con shorts troppo corti e magliette stropicciate sulla poltrona, e lui sul divano a boccheggiare per il caldo.

Mi hanno scritto che ritardano di un’ora, dissi, tradendo così una voce a metà fra un sospiro.

Al contrario di quello che pensavano tutti, da compagni di corso a familiari, fino a quel momento io e Martin non avevamo mai fatto sesso. Eravamo rimasti spesso accovacciati l’uno sull’altro, in momenti più o meno romantici, più o meno sessualmente eccitanti, ma non avevamo voluto mai provarci davvero. Fino a quel momento non aveva mai avuto abbastanza senso da farci pensare che sarebbe andato bene anche se.

I miei stinchi iniziarono a colpire le sue ginocchia, e scoppiammo a ridere entrambi. Da quando stavo con Francesco il nostro rapporto era un po’ cambiato, stavamo sempre di più diventando due semplici amici, regredendo ad un gradino della scala relazionale più banale e semplice, un gradino in cui far sesso non avrebbe sconvolto i piani di nessuno.

Solo due anni prima ci eravamo andati pericolosamente vicino.

Era la festa di capodanno, e noi avevamo iniziato a bere durante i preparativi, accartocciando carta velina per farla sembrare neve, erano arrivate le sette di sera e nessuno dei due aveva la forza di accogliere gli ospiti. Quando i primi arrivarono, lasciammo tutto in mano a fedeli compagni e ci rifugiammo in camera per raccogliere un po’ di senno. Scoppiammo a ridere appena varcata la soglia e ci ritrovammo a nasconderci, da persone che non sarebbero mai venute a cercarci, tra l’armadio e la parete. Alternavamo risate a tentativi di silenziare le stesse, ed eravamo tanto vicini da annusare i nostri fiati. Io avevo una gonna lunga di velluto verde, che avevo comprato in una sconosciuta fiera gitana, e lui, preso dall’analisi del tessuto, iniziò ad accarezzarmi la coscia. Pensai se fosse il caso di fermarci, ma era così morbido il velluto che semplicemente inclinai il collo verso destra e acquietai le risate. La gonna aveva uno spacco profondissimo, questo si trovava sul lato che Marvin stava esaminando e ad un tratto le sue dita ci cadettero dentro. Con scarsi indugi vi entrò,  la temperatura della mano era così simile alla mia che sentii solo la morbidezza. Questa risalì facendosi strada fra il tessuto e arrivò agli slip senza ostacoli. Io ero rimasta col collo inclinato, il fiato pesante e per un istante, solo uno, spostai la gamba per rendergli tutto più semplice. Lui accostò da un lato le mutande e con la mano mi afferrò. Sospirai e in quel momento di scarsa lucidità ci guardammo, costringendo quest’ultima a riproporsi.

La temperatura fra le cosce, era molto più alta. Ero calda, bagnata e sarebbe bastato pochissimo per far entrare le sue dita dentro di me. Si raccontava fosse bravo con le dita. Io le avevo già immaginate varie volte sfiorarmi, erano lunghe e grandi, un po’ come lui. Sarebbe bastato pochissimo per permettergli di giocare col mio clitoride, che era già duro. Sarebbe bastato pochissimo per girarmi e appoggiarmi completamente contro la parete per permettergli di entrare ovunque, da quella angolazione che mi piaceva tanto. Sarebbe bastato pochissimo eppure non successe.

Quella stessa sera a festa finita, passandoci l’ultima bottiglia di passito, giurammo che avremmo fatto sesso solo quando non avremmo rischiato nulla.

art by Pang Xunqin, The Girl on the Couch, 1930

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Squirt | class 101

I’ve recently discovered that I can squirt! Or at least, I think I can. I’m 80% sure of it!
– utente di Reddit

Sappiamo tutti cosa si intende col termine squirt, no? Anche se il vocabolo porncategory-friendly lo cela un po’, altro non è che l’eiaculazione femminile. Come avvenga, cosa lo produca e soprattutto cosa sia effettivamente, ancora però non è del tutto chiaro.
Sebbene l’immagine del fiume in piena capace di irrigare terreni incolti è impressa nell’immaginario collettivo, la comunità scientifica non può (non trova il tempo?) di giungere a una conclusione su come descrivere questo affascinante fenomeno.

Già a partire dalla composizione del liquido zampillante sorgono i primi dubbi. La sua ricetta precisa è sconosciuta, quello che conosciamo è la variante della tradizione in cui sono descritte dosi approssimate, un pizzico di, due pugni di ecc. L’odore e il colore lo rendono chiaramente distinguibile dall’urina, ma chimicamente i due sono più simili di quanto si immagini. Per ora, quello che possiamo dire sulla sua composizione è che vi è un’alta presenza di liquidi prostatici, di glucosio, cannella e ogni cosa bella. Insomma, niente di chiaro su questo fronte; fonti non specialistiche confermano come accennato sopra che sì, le chiazze sulle lenzuola sono più facilmente lavabili della pipì, e qui si fermano.

Se passiamo a interrogarci su quale parte del corpo femminile lo produca, la risposta più quotata è: le famigerate ghiandole di Skele. Tranquill* se non vi è chiaro cosa siano e dove si trovino, vi basta immaginarle come delle instancabili produttrici di lubrificante naturale situate vicino al meato uretrale.

Riassumendo i forse appena accennati, possiamo concludere che lo squirt somiglia alla pipì ma non lo è del tutto, può essere paragonato al liquido prostatico maschile ma non fino in fondo. Insomma, ci è o ci fa?

Da tutto ciò, un’unica considerazione rimane confermata e cioè sì, l’eiaculazione femminile esiste. Ciò che è sicuro, infatti, è la correlazione fra la sua produzione e il raggiungimento del climax sessuale.

Accantonate le velleità scientifiche, ritorniamo sui nostri passi, facendo cadere le varie considerazioni accademiche all’interno di una vaga alzata di spalle. In linea ipotetica tutte le donne sono capaci di squirtare durante l’amplesso, ma spesso condizioni meccaniche e psicologiche non lo permettono.

Seppur il porno mainstream lo consideri alla stregua di uno starnuto, nel mondo reale solo una piccola parte della popolazione femminile è capace di venire squirtando. Essendo strettamente collegato alla stimolazione del punto-G, ed essendo il punto-G una zona erogena capace di differenziarsi da donna a donna, la situazione si complica.

Anche se il fantastico mondo di internet è strapieno di guide su come farlo, come farlo bene e tanto, fonti reali lo narrano come un fenomeno involontario, difficilmente gestibile, e totalmente autonomo. Ovvio che come alcune reazioni, anche questo può essere agevolato (e di questo ne parleremo in altri post), ma per ora mi limiterei a farlo ricadere nella stessa categoria del ginocchio che si impenna sotto il martellino del dottore.

Per concludere questa breve e accennata retrospettiva, che apre le porte a molti altri contributi è giusto lasciare una piccola nota di chiusura. Anche se è scontato parlare del fatto che prendere come modello le performance sessuali di esperti del mestiere, che spesso ricorrono a trucchi o comunque a esercizi per migliorare la performance, è quasi sicuramente causa di frustrazione, è sempre meglio averlo presente.

L’eiaculazione femminile è un fenomeno normale, come è normale la sua assenza, di conseguenza è meglio non ingabbiarsi in imbarazzi diffusi quando capita o in sentimenti di delusione quando invece è assente. Se l’allineamento dei pianeti, il destino, la lubrificazione, e la reattività del Punto-G saranno favorevoli avverrà, altrimenti è meglio non pensarci e goderci l’orgasmo, che in fondo è la cosa importante, no?

Se avete qualcosa da aggiungere, smentire o raccontare, scrivetemi.

© Illustrazione di Jim Cooke